Marianna Manduca, tolto il risarcimento ai figli. «Il marito l’avrebbe uccisa lo stesso»
È la resa. È lo Stato che alza bandiera bianca e in una sentenza scrive, in sostanza, che l’omicidio di Marianna Manduca non poteva essere evitato. È lo Stato che ammette l’inammissibile, e cioè che qualunque cosa il sistema Giustizia avesse fatto per intercettare le esigenze di lei, lui — suo marito — l’avrebbe comunque uccisa. Una specie di vittima predestinata, Marianna. E, dodici anni dopo la sua morte, oggi diventano più vittime di quanto lo siano mai stati anche i suoi tre figli, ancora tutti minorenni. A loro il verdetto di primo grado aveva concesso un risarcimento perché la magistratura non aveva fatto abbastanza per proteggere la mamma. A loro adesso la sentenza d’appello chiede di restituire tutto. È lo Stato (formalmente la presidenza del Consiglio) che chiede i soldi indietro a tre orfani.
La sentenza d’appello
Ventuno pagine di sentenza per descrivere il senso di totale impotenza della magistratura (in quel caso la Procura di Caltagirone) davanti alle suppliche di aiuto di Marianna. E per smentire la decisione di primo grado che invece aveva parlato di «grave violazione di legge con negligenza inescusabile» nel «non disporre nessun atto di indagine rispetto ai fatti denunciati» e nel «non adottare nessuna misura per neutralizzare la pericolosità di Saverio Nolfo». Il giudizio d’appello, invece, sostiene che la Procura fece il possibile date le leggi del momento (ancora non c’era la legge sullo stalking). Dice che — è vero — non eseguì la perquisizione e quindi non sequestrò il coltello, ma le due non-azioni, appunto, non sarebbero bastate a scongiurare il peggio. Per i maltrattamenti e le minacce di morte era previsto anche allora l’arresto (quello sì che avrebbe scongiurato il delitto) ma i comportamenti di Nolfo non furono interpretati all’epoca, e non lo sono in questa sentenza, come gravi: «Non consentivano l’applicazione della misura cautelare». Nemmeno quando lui accolse Marianna mostrandole un coltello a serramanico con il quale finse di pulirsi le unghie.
Una sentenza sconvolgente
Nessuna responsabilità significa niente risarcimento, «e se la Cassazione non rivedrà il giudizio per i miei figli sarà la rinuncia al futuro che avevano sperato, per esempio all’università» si tormenta Carmelo Calì, il cugino di Marianna che, già padre di due figli, subito dopo l’omicidio adottò i suoi tre bambini senza averli mai conosciuti prima. È suo il nome che figura nella causa contro la presidenza del Consiglio. I suoi avvocati, Licia D’Amico e Alfredo Galasso, si dicono «sconcertati» e parlano di una magistratura che «dovrebbe riflettere su questa permanente tendenza all’autoassoluzione». Fa sentire la sua voce anche Mara Carfagna, che definisce la sentenza «sconvolgente» e scrive: «La Corte d’Appello dice agli orfani e a tutti noi che quel femminicidio non poteva essere evitato, denunciare i violenti è vano». Per Marianna andò esattamente così: dodici denunce. Tutto vano.
Avvocato Marica Pesci
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